Scrivo questo post come spunto di riflessione per tutti i miei colleghi Scienze Motorie, Personal Trainer, Allenatori ecc..
C’è una grande differenza tra gratuità solidale e gratuità di marketing, la prima è sacrosanta ed è fatta di pura generosità, la seconda è sacrosanta ma prevede una strategia finalizzata alla crescita della propria reputazione in ambito lavorativo, alla crescita del valore del nostro lavoro, non alla sua distruzione.
In questi giorni di Coronavirus si sprecano le offerte gratuite di proposte di allenamento fatte praticamente da chiunque, dal calciatore in pausa, dalla Beauty Blogger, dal Personal Trainer di tecniche specifiche, dall’allenatore di sala pesi e dal nostro vicino di casa e credo che lavorare in questo senso, senza chiederci “perché offrirlo gratuitamente?” sia il modo migliore per annullare del tutto il valore del nostro lavoro già considerato alla stregua di uno sfizio superfluo.
Prima di entrare nel merito di questo pensiero voglio sottolineare una cosa: io per primo un anno fa ho creato un programma gratuito per sedentari e l’ho fatto con ragioni e intenzioni ben precise (che hanno a che fare con il marketing):
- Volevo fare sperimentare la mia competenza e il mio approccio al fitness in modo tale che le persone avessero qualche criterio in piú per scegliermi come Personal Trainer (e quindi pagarmi come professionista);
- Volevo dare dimostrazione che un programma ha una struttura e prevede una conoscenza del corpo e dei suoi equilibri;
- Il mio primo competitor è l’inerzia e questo era un modo efficace per vincere la prima partita con lei.
Ho messo a disposizione questo programma via newsletter quando ho lanciato il mio sito (un anno fa) e ho deciso di rilanciarlo sul mio profilo Instagram (nelle Stories) all’inizio di quest’anno. Le ragioni sono sempre le stesse: aggiungere valore al mio lavoro.
Quando ho dovuto chiudere lo studio per la difficile crisi sanitaria che stiamo vivendo, oltre all’inevitabile e profondo dolore per la situazione che dobbiamo affrontare (alcuni più di altri), ho immediatamente pensato alle conseguenze sul mio lavoro e sul lavoro fatto con i miei clienti fino a quel momento. Alcuni si allenano con me da oltre un anno e più volte alla settimana, fermarsi a lungo avrebbe certamente danneggiato il duro lavoro fatto fino a quel momento. Ecco perché mi sono messo all’opera per strutturare dei programmi di allenamento online per continuare ad accompagnarli in questo momento incerto in modo tale da poterli guidare ancora nella cura del loro corpo. Una volta fatti i programmi ho deciso di metterli a disposizione anche per chi non era mio cliente, ma ho deciso di venderli, non di regalarli, per diverse ragioni:
- Un programma di allenamento come si deve non è un insieme arbitrario di esercizi, anzi, prevede una progressione di lavoro e una combinazione pensata di esercizi che devono avere come obiettivo il raggiungimento di certi risultati e la prevenzione dagli infortuni. Quindi richiede parecchio lavoro preparatorio e molta competenza.
- Offrire gratuitamente a tutti un lavoro che i miei clienti normalmente pagano sminuisce moltissimo il valore di quello che faccio per loro (e a mio parere li fa sentire anche un po’ stupidi). Perché uno poi dovrebbe continuare a pagarmi se di fatto il mio lavoro è gratuito per tutti?
- quando un professionista stimabile mette a disposizione una grandissima quantità di materiale gratuito, mi chiedo sempre “ok ma come guadagna? Da corsi più elaborati? Da consulenze individuali? Da pubblicazioni? dalla vendita degli attrezzi che usa? Dai marchi che sponsorizzano il suo canale?” perché la gratuità nel lavoro ha sempre una funzione e non è una cosa di cui vergognarsi, è una cosa che ha senso che condivido ma solo se calata in una strategia che valorizzi il lavoro. La solidarietà è un’altra cosa.
- Voglio lavorare sempre di più perché emerga con forza che non è indifferente “fare da soli” o scegliere un professionista, che non è la stessa cosa seguire sulle storie di Instagram l’allenamento dello sportivo di turno o il canale youtube della blogger di makeup che condivide i suoi esercizi di fitness perché in un caso e nell’altro il rischio di farsi male è davvero alto, non perché loro non siano capaci di fare sport, ma perché fare sport è diverso da fare programmi di allenamento – e farsi male in questo periodo è la cosa più inutile che possiamo fare.
Ecco, forse quest’ultimo è il danno più grande che stiamo facendo al nostro mestiere mettendoci al pari di un qualsiasi video youtube: dire che siamo superflui, che la nostra competenza vale zero ed è pari a quella di persone non formate, parzialmente formate o che sono formate ma che hanno altri obiettivi di business.
Una persona quando ha un problema di salute non si cura da sola (lo stiamo vedendo proprio in questi giorni), una persona che ha una difficoltà psico-sociale sa perfettamente che un libro di autoaiuto non è sufficiente perché deve andare da uno psicologo o a fare terapia.
Mi piacerebbe che anche in questo tempo difficile, anzi, ancora di più ora che al corpo è richiesta una staticità che non gli appartiene, i nostri clienti e potenziali clienti sappiano che scegliere il fai-da-te è assolutamente lecito ma non è uguale ad un allenamento proposto da noi che abbiamo un’ampia e aggiornata conoscenza del corpo del suo funzionamento e delle sue interconnessioni . Ma questo loro lo possono capire solo se noi per primi lavoriamo perché non avvenga questa confusione.
Sarebbe davvero utile che insieme, ciascuno con la sua specificità e le sue caratteristiche individuali lavorasse perché questa distinzione diventasse sempre più chiara già ora, perché anche quando questa situazione finirà (perché voglio credere che succederà) a quel punto le persone si chiederanno perché dovrebbe tornare ad allenarsi a pagamento da noi, nei nostri studi, nelle nostre palestre se fino al giorno prima gli abbiamo detto che il nostro lavoro lo può fare chiunque, o anche noi ma gratis.
Ho letto questa presentazione a seguito delle mail di Rita … come sempre molto ben fatto, molto chiaro e sincero, ottimo lavoro! Laura b.